GLIFOSATO, AMBIENTE E SALUTE A RISCHIO?



Il glifosato è un erbicida introdotto in agricoltura negli anni Settanta del secolo scorso dalla multinazionale Monsanto con il nome commerciale di Roundup.



Ha avuto una grande diffusione perché alcune coltivazioni geneticamente modificate sono in grado di resistergli: distribuendo il glisofato sui campi si elimina ogni erbaccia o pianta tranne quella resistente che si desidera coltivare. Si aumenta così la resa per ettaro e si riduce l'impegno per l'agricoltore. Per la sua bassa tossicità rispetto agli erbicidi usati all'epoca è stato da subito molto usato anche in ambienti urbani per mantenere strade e ferrovie libere da erbacce infestanti. È attualmente l'erbicida più usato al mondo anche per la caratteristica di rimanere negli strati superficiali del terreno e di essere degradato e distrutto con relativa facilità dai batteri del suolo. Il brevetto della Monsanto è scaduto nel 2001 e da allora il glifosato è prodotto da un gran numero di aziende.



Il glifosato, agendo in modo non selettivo, al fine di uccidere piante infestanti, è in grado di sterminare qualunque organismo vegetale sul quale viene applicato.
Diversi studi e rapporti hanno dimostrato come esso sia in grado di contaminare il suolo, l’aria e le acque superficiali e profonde. Dal rapporto ISPRA sui pesticidi emerge, infatti, che il glifosato sia uno delle sostanze più diffuse, insieme al suo metabolita AMPA, nelle acque italiane.
Stando agli studi, dunque, il glifosato si presenta come una sostanza altamente tossica per l’ambienteincidendo sulla funzionalità degli ecosistemi e degli habitat naturali e in grado di ridurre la biodiversità, necessaria per la buona salute della biosfera, degli esseri umani e dell’agricoltura.



Un gruppo di esperti dell'Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro (IARC) ha preso in esame tutti gli studi relativi ai possibili effetti per l'uomo e per gli animali. L'analisi approfondita si è conclusa nel 2015, con la decisione di inserire il glifosato nella lista delle sostanze "probabilmente cancerogene" (categoria 2A). Nella stessa categoria sono presenti sostanze come il DDT e gli steroidi anabolizzanti, ma anche le emissioni da frittura in oli ad alta temperatura, le carni rosse, le bevande bevute molto calde e le emissioni prodotte dal fuoco dei camini domestici alimentati a legna o con biomasse. In pratica si tratta di sostanze per cui ci sono prove limitate di cancerogenicità nell'uomo, ma dimostrazioni più significative nei test con gli animali.
In particolare, gli studi epidemiologici sulla possibile attività del glifosato negli esseri umani hanno segnalato un possibile, lieve aumento del rischio di linfomi non-Hodgkin tra gli agricoltori esposti per lavoro a questa sostanza, mentre gli studi di laboratorio in cellule isolate hanno dimostrato che la sostanza provoca danni genetici e stress ossidativo.


Sempre nel 2015, l'Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare (EFSA) ha condotto un'altra valutazione tecnica - affidata all'Istituto federale tedesco per la valutazione del rischio - secondo la quale "è improbabile che il glifosato costituisca un pericolo di cancerogenicità per l'uomo". Ad ogni modo l'EFSA ha disposto "nuovi livelli di sicurezza che renderanno più severo il controllo dei residui di glifosato negli alimenti" come misura di cautela.
Anche le conclusioni dell'EFSA sono state oggetto di critiche, finché nel 2016 l'Organizzazione mondiale della Sanità (OMS) e l'Organizzazione delle Nazioni Unite per il cibo e l'agricoltura (FAO) hanno condotto un'analisi congiunta giungendo anche loro alla conclusione che "è improbabile che il glifosato comporti un rischio di cancro per l'uomo come conseguenza dell'esposizione attraverso l'alimentazione".


Anche se il giudizio sulla potenziale pericolosità è incerto, numerosi Paesi hanno da tempo adottato misure precauzionali per ridurre l'uso inappropriato dei prodotti contenenti glifosato. In Olanda, per esempio, la vendita ai privati per uso casalingo è stata vietata nel 2014, mentre le vendite in ambito professionale non hanno subito limitazioni. In Francia il ministro dell'Ecologia ha chiesto nel 2015 a vivai e negozi di giardinaggio di non esporre il glifosato sugli scaffali accessibili al pubblico, che rimane però in libera vendita.
In Italia un decreto del ministero della Salute ha stabilito nell'estate del 2016 che il diserbante non si potrà più usare nelle aree "frequentate dalla popolazione o da gruppi vulnerabili quali parchi, giardini, campi sportivi e zone ricreative, aree gioco per bimbi, cortili e aree verdi interne a complessi scolastici e strutture sanitarie". Un altro decreto del ministero della Salute ha poi stabilito che i prodotti che contengono ammina di sego polietossilata accoppiata al glifosato - una combinazione che secondo il rapporto dell'EFSA potrebbe essere responsabile degli effetti tossici sull'uomo fossero ritirati dal commercio nel novembre del 2016, e che il loro impiego da parte dell'utilizzatore finale fosse vietato dalla fine di febbraio del 2017.
In sostanza il caso del glifosato rappresenta, al momento attuale, un buon esempio di sospetta cancerogenicità non sufficientemente dimostrata, nei confronti della quale le istituzioni hanno deciso di mettere in atto il principio di precauzione: non vietarne del tutto l'uso (mossa che potrebbe avere effetti negativi sulla produzione agricola) ma istituire limiti e controlli nell'attesa di ulteriori studi.

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